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Il giocatore di Fedor Dostoevskij

di Cora Craus –

“C’è un prima e un dopo Dostoevskij, nella letteratura universale: un diverso modo di guardare dentro i recessi d’ogni uomo nella sua più complessiva avventura dentro il cosmo. Prima non c’era e dopo Dostoevskij c’è. Ciò non toglie però che il giocatore – nella sua specifica essenza di “romanzo” – continui sempre a piacermi di più. È lui la punta massima – per me – di Dostoevskij narratore.” (Antonio Pennacchi)

 

E’ un brano tratto dall’introduzione, scritta da Antonio Pennacchi, scrittore latinense premio Strega 2010, de “Il giocatore” di Fedor Dostoevskij. Il romanzo è considerato uno dei maggiori capolavori della letteratura russa, ed è forse il più autobiografico di Dostoevskij, fu scritto, anzi dettato, in un mese a una stenografa, Anna Grigorievna Snitkina che diventerà la sua seconda moglie. L’autore scrisse questo romanzo sotto l’oppressione di un disperato bisogno di soldi a causa degli innumerevoli debiti di gioco e mentre lavorava all’imponente “Delitto e castigo”.

Il giocatore” è un brillante e, a tratti, ilare e amarissimo romanzo sulle debolezze umane e sui vizi di una cosmopolita società europea di metà Ottocento. Scritto con uno stile scorrevole, chiaro si trasforma presto in una lettura profonda, dove l’autore, definito “artista del caos” per il suo oscillare tra abbruttimento e bellezza, tra peccato e purezza, affronta la tema del gioco d’azzardo nelle sue forme estreme, e nell’assoluta incapacità del giocatore di “guarire” dalla morsa della dipendenza del gioco.

Il protagonista, Aleksej Ivànovic, narra in prima persona la storia, dove sono descritti con crudezza i vari tipi di giocatori e la loro “contagiosa influenza”, e la pregnante e opprimente atmosfera che regnava nelle sale da gioco. “Alla tavola della roulette e all’altra estremità della sala, dov’era il tavolo con ‘il trente et quarante’, si affollavano forse cencinquanta o duecento giocatori, in varie file. Coloro che riuscivano a giungere al tavolo, di solito si tenevano stretti al loro posto e non lo cedevano fino a quando non avevano perduto; perché stare così come semplici spettatori e occupare per nulla un posto di gioco non è permesso. [.] Persino dalla terza fila alcuni s’ingegnavano ad allungare così le loro poste; per questo non passavano dieci e neppur cinque minuti che a un’estremità del tavolo non cominciasse qualche storia per via di poste controverse”.

L’autore quasi con morbosa minuzia, che poi è il tratto stilistico universalmente riconosciuto di Fedor Dostoevskij, ferma sul foglio i tratti, prevalentemente morali, dei vari personaggi nei momenti cruciali della loro esaltazione al tavolo da gioco. Dove tutti perdono di vista, la stimolo primogenia: l’avidità, per lasciarsi corrompere solo da un’esplosione d’adrenalina, dal brivido del rischio dell’azzardo sempre più fine a se stesso.

Il romanzo è anche un fitto intrecciarsi di felici e infelici storie d’amore. Da questo romanzo il musicista russo Sergej Sergeevic Prokof’ev ne trasse un’opera musicale dall’omonimo titolo. Un grande classico da leggere e rileggere perché i “classici a ogni lettura regalano una storia diversa”.

 

 

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista