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Un libro, un autore, un ricordo di Amos Oz: “Non dire notte”

 

Di Cora Craus –

“Sono le sette di sera e lui è seduto sul balcone di casa, al terzo piano. Guarda il giorno che muore e aspetta…” E’ l’incipit del libro di Amos Oz “Non dire notte”.  Un libro che lo stesso autore ha definito un “dialogo solitario” in un romanzo corale, dove i veri protagonisti sono l’amore, la morte, i desideri, la desolazione, la solitudine e gli aneliti.

Non possiamo definire questo romanzo un romanzo “politico” ma come ben sappiamo la scrittura di Amos Oz, trae la propria forza dalla tormentata storia della sua terra; e i suoi libri sono un’instancabile dichiarazione d’amore, di pena, di pietà per gli ebrei d’Israele e per gli arabi della Palestina. Scritti che rappresentano un doloroso sguardo sui conflitti “insanabili” che insanguinano quella terra, una vibrante emozione di affetto e com-passione per il sogno di una Palestina pacificata: un’aspirazione che oggi rimane ancora una remota utopia, un miraggio, una chimera.  Ma noi sappiamo che i sogni, le utopie sono solo l’anticipo della realtà.

“Non dire notte”, (ed. Feltrinelli – pag. 204 – € 15) scritto con uno stile intimistico e una narrazione morbida e riflessiva, è un romanzo che indaga, attraverso la crisi di una coppia di mezza età, i limiti e le infinite risorse dell’amore e della tolleranza.  La storia si svolge a Tel Kedar, una tranquilla cittadina israeliana nel deserto del Negev, qui abitano i due protagonisti, Theo architetto di successo, ma anche uomo stanco in cerca di quiete, e Noa entusiasta insegnante universitaria. I due dopo sette anni di felice convivenza, sono in una fase stagnante del loro rapporto. A Noa, in seguito alla morte di uno dei suoi studenti (non si sa se per droga o suicidio), è affidato il compito di realizzare a un centro di riabilitazione per giovani tossicodipendenti. Aiutata da alcuni volontari, una variegata umanità, a volte, ai limiti del consorzio “civile”, si dedica al progetto con entusiasmo e idealismo, pronta a lottare contro l’opposizione di tutta la cittadina intimorita dalla possibilità che un simile centro possa portare fin dentro le loro case droga e criminalità. Il trambusto della vicenda sembra mettere a dura prova il suo matrimonio con Theo, ma da questo conflitto, dopo una serie di peripezie, riemerge con forza lo struggente affetto, l’infinita tenerezza e il profondo amore che ancora li lega.

La storia è narrata dai due protagonisti in prima persona, che raccontano gli stessi episodi visti da occhi diversi.  Le loro personalità contrapponendosi con forza, trascinano nella narrazione non solo le loro vite ma anche quelle dei vari abitanti di Tel Kedar: vecchi e nuovi immigrati, persone colpite da immani tragedie, ma anche giovani studenti di belle speranze, personaggi buffi, russi pieni di vitalità. “…e chi ha un poco di bontà, trova bontà ovunque”.

 

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista