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Borgo San Michele, un premio per il sacrificio

di Marina Cozzo –
“San Michele Arcangelo, benedetto Arcangelo di Dio, Principe delle sue milizie, grande generale per la difesa dei deboli e miseri, proteggi la terra…”

In quello stato desolazione assoluta che l’Agro Pontino rievocava in ogni angolo, in ogni acquitrino riottoso e ribelle, in ogni ronzio di infetto diabolico, in ogni bestia esanime nel fango e in ogni uomo strappato via dal suo sogno, l’invocazione di Dio deve essere stata una litania quotidiana per i coloni scesi dalle regioni giulie e venete per trovare l’Eldorado nel sud del Lazio.
Sarà stato il destino o proprio voluto che questa località venisse collegata alla prima città della fondazione, Littoria, da Via Don Torello, padre salesiano, un gigante della fede e della carità, una delle colonne portanti della bonifica e della Chiesa della zona pontina.

Ma prima di assumere il nome di Borgo San Michele, essa era chiamata Villaggio operaio a Capograssa.
Capograssa era una delle lande più malariche dell’Agro: tra il bosco e la palude, i pionieri spesso perdevano il mordente per proseguire la loro opera di bonifica e risanamento della zona.

Ma l’opera del Consorzio di Bonifica di Piscinara realizzò comunque il suo “Villaggio operaio a Capograssa”.
In verità il villaggio serviva per accogliere le numerose maestranze impegnate nella esecuzione dei lavori della bonifica nella zona più infamata della palude, ove le acque ristagnavano da millenni.

“Occorreva, infatti, dare agli operai la possibilità di soggiornare in loco, usufruendo di dormitori moderni moderni aventi i dovuti apprestamenti di protezione antianofelica: si doveva altresì dare agli operai la possibilità di usufruire di un efficiente servizio sanitario e delle provvidenze predisposte per fare loro sentire il meno possibile il disagio del soggiorno in località deserta e la lontananza dalle proprie famiglie” (fonte: Fortunato Iori).

Il lavoro di bonifica, iniziato nel 1929, fu più duro di ogni altro e del previsto, cominciando dall’accesso, reso praticamente impossibile e insperabile.
E quando nel 1932, fu ultimata la costruzione della Chiesa di San Michele Arcangelo, dopo il lavoro massacrante, avvilente e incessante, deve essere stato un momento di grande sollievo spirituale per tutti i grandi lavoratori del Borgo.
La Chiesa rappresentava un traguardo per il morale.

San Michele Arcangelo, con la sua corazza d’oro, la spada fiammeggiante, ha combattuto strenuamente contro i malefici di quel campo avvinto dalle tenebre della pestilenza, dimenticato da Dio e dalla speranza; l’ha aggiogato, schiacciato e reso domo, per donarlo agli uomini sano e accogliente, come ricompensa dei loro sacrifici immani.

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Marina Cozzo

Marina Cozzo

Giornalista