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Le donne nel giornalismo – Bruno Tucci le descrive cosi.

di Bruno Tucci –

Che peso specifico hanno le donne nel panorama giornalistico del nostro Paese? Prima di affrontare questo interrogativo, vorrei fare una premessa di carattere “storico”. Quando cominciai a frequentare un quotidiano (Il Messaggero), in redazione c’era una sola gentile signora. Non vi dico l’anno per pudore, ma dovete credermi. La nostra collega si occupava di politica cittadina e lo faceva in maniera brillante per non rendere noiosi argomenti che potevano risultare pesanti. Bene. Ricordo anche che le era vietato scendere in tipografia, perché allora, con il sistema a caldo, i nostri amici indossavano un leggerissimo grembiule nero sopra una canottiera e un paio di mutande. Perché, vi chiederete, le giovani non intraprendevano una simile professione? Più volte, ho riflettuto su questo problema. Scriverei una bugia se dicessi che ho una risposta sicura. Forse perché si lavorava spesso di notte (i quotidiani chiudevano verso le quattro), forse perché se si fosse dovuti andar fuori Roma per servizio le famiglie si sarebbero opposte. Può darsi. Sta di fatto che il maschilismo imperava. Rammento nomi grandissimi come Flora Antonioni, Lietta Tornabuoni, Oriana Fallaci. Autentiche mosche bianche in un panorama spadroneggiato dagli uomini.

 

Era allora un giornalismo zoppo? Visto con gli occhi di oggi non esiterei a rispondere “si”, perché mancava in alcuni articoli quella sensibilità prettamente femminile che dà alla prosa un sapore diverso, di certo migliore. Okay. Per fortuna, i tempi sono cambiati in fretta. Quando cominciai a fare l’inviato, tornando a Roma, magari dopo un periodo abbastanza lungo (un solo esempio: per la rivolta di Reggio Calabria, quella dei boja chi molla, rimasi fuori sette mesi) respiravo in redazione un’aria diversa. Avevano assunto bellissime ragazze, ne cito un paio: Gloria Satta, magnifica, e Barbaro Corrao, affascinante. Brave? No, bravissime. Ed allora, non esistevano le quote rosa, cioè non si tagliava il traguardo solo perché si indossava una gonna, ma per la semplice ragione che avevi i numeri per fare la nostra professione. Voglio insistere, perché se non fossi un maschietto mi indignerei pensando al fatto che un posto mi sarebbe assegnato per il motivo che una “certa percentuale” deve essere concesso alle donne. Mai e poi mai. Se hai le potenzialità vai avanti, altrimenti la selezione è nella cosiddetta meritocrazia, sostantivo di cui ci riempiamo la bocca a sproposito.

 

Grazie a Dio, ho avuto la fortuna di lavorare come inviato con colleghe stupende sotto ogni punto di vista. Ad esempio, Silvana Mazzocchi, Barbara Palombelli, Laura Laurenzi insieme con molte altre. Dovevi stare attento a non prendere “buchi” perché avevano una tenacia che non si attenuava mai nell’arco delle ventiquattro ore. Quando, trasmesso il servizio, pensavi di poterti rilassare, dovevi tenere gli occhi aperti, perché le concorrenti non ammettevano pause. D’altronde, questo atteggiamento era comprensibile: dopo anni di attesa fuori dalla porta, ora potevano dimostrare tutto il loro valore.

 

Così, finalmente, si arriva ai nostri giorni. La situazione è migliorata? Assolutamente si. Nelle scuole di giornalismo, gli studenti sono al cinquanta per cento uomini ed al cinquanta donne. Nelle redazioni, il maschilismo è soltanto un ricordo. C’è chi è arrivata al top delle carriera, dirigendo una testata giornalistica: Bianca Berlinguer, Lucia Annunziata, Concita De Gregorio, Sarah Varetto, Norma Rangeri. Che dire? Lasciatemi fare uno sfogo, se non altro per rispetto ai miei capelli bianchi. Rimpiango i tempi in cui nelle redazioni c’era una sola donna? Per carità. Adesso il giornalismo si è adeguato ai tempi, ha una sensibilità maggiore, anche se spesso ai ragazzi o alle ragazze a cui cerco di dare qualche consiglio dico: “Non fidatevi di google, correte sul posto quando dovete seguire un fatto. Perché ogni notizia ha un profumo particolare, quello stesso che voi dovete trasmettere a chi legge o a chi vi ascolta.

 

 

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