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Latina palude culturale?

di Giselda Palombi –

Latina è una città senza il suo sano campanilismo. Una città che vomita se stessa alla prima occasione. E le grandi abbuffate tornano con la cronaca (nera?) che hanno annunciato  la chiusura del teatro comunale.

Un’esplosione di reazioni a catena, difensori del bene pubblico maltrattato e nemici dei difensori, critici improvvisati e tecnici nati a combattere tra loro a colpi di social network.

Ma di tutto questo cosa resta? Un fatto, il teatro ha chiuso. Un numero di operai, impiegati, tecnici resterà a casa per forza maggiore. Un altro fatto, il teatro non era a norma da tempo. Nel frattempo, eventi (e i rischi?) autoprodotti oppure organizzati in stagione si sono tenuti nel tempo, in un luogo in cui l’affitto risultava comunque intero, con un servizio a metà.

Siamo in Italia, dicono i disfattisti, è normale.

No, ricordiamolo. Non è normale, nemmeno qui. Nemmeno nella terra delle mafie, delle irregolarità e delle leggi troppo complicate e dei controlli che non vengono mai effettuati.

Non è normale accettare queste situazioni da terzo mondo.

Se questa chiusura può servire a qualcosa, è proprio a far scaturire questa riflessione: abbiamo tollerato illeciti troppo a lungo, anche in questo ambito.

Ma Latina non è sola nello sfacelo. Pontinia è ferma, il piccolo gioiello pontino, il teatro Fellini (per i campioni del disprezzo, si sappia che è l’unico teatro in Italia in perfetto stile razionalista, ben conservato a parte qualche assurdità in un vecchio restauro, per fortuna recuperabile a detta degli esperti) è chiuso per la stessa ragione di quello del capoluogo. Guardiamo attorno e vediamo quanto il fenomeno sia diffuso, una piccola ricerca in rete porta alla luce una realtà di abbandono dilagante.

È un caso, sicuramente. Non è collegato al disinteresse generale della politica verso i cittadini, certamente no.

Non è nemmeno collegato alla drammatica sensazione di impotenza delle persone che sempre più spesso si sentono estranei ai beni collettivi, certamente no.

Intanto, per fortuna, tra le critiche emergono pareri concordi su alcuni aspetti, primo tra tutti quello delle scelte artistiche. Tantissimi sottolineano la povertà culturale delle stagioni precedenti. Tantissimi denunciano il prezzo esorbitante dell’affitto del teatro.

Ma Latina non è una città morta, né artisticamente né culturalmente. Le iniziative dal basso sono sempre più numerose, le associazioni che portano avanti coraggiosamente il proprio lavoro e i fruitori non mancano. Nel teatro le offerte sono diverse e diversificate, dal teatro di improvvisazione a quello di sperimentazione, portati avanti da coraggiosi (passi il termine e il concetto) nel tempo.

Cosa manca? Le istituzioni. Istituzioni pronte sempre a finanziare eventi in perfetta linea con la sottocultura imperante, strettamente legata a meccaniche commerciali e scimmiottamenti del mainstream, con il pretesto che sarebbero le uniche a richiamare pubblico. Una logica autoreferenziale, naturalmente, che non tiene conto dell’opposto. Se non si produce altro che questo, non sarà mai possibile far conoscere altro che questo. Investire per esempio sulla musica classica fuori dei circuiti tradizionali. Funziona un’orchestra in piazza? Basterebbe guardare i risultati di chi ha tentato. E così per qualsiasi altra offerta culturale.

Ci sono iniziative in librerie, negozi, parchi, abitazioni private, musei, gallerie e perfino nei bar . Ci sono piccoli teatri privati, gruppi di autoproduzione cinematografica, musicale, editoriale. Una città viva e piena di artisti e di creativi.

Cosa manca? Il campanilismo. Raffaele Viviani in una sua poesia parla di un peccato capitale dei suoi contemporanei e conterranei: la mancanza di un sano spirito campanilistico, la volontà di supportare le realtà locali, gli artisti locali, i propri concittadini. Ma possiamo anche andare più indietro, fino ad Aristofane, che consiglia di mascherarsi da straniero per abbattere quel “nessuno è profeta in patria” e ottenere l’attenzione dei concittadini.

Un amico mi ha detto pochi giorni fa che il pubblico è perduto, che stiamo tornando all’era della committenza privata. Purtroppo, sembra avere piena ragione. Evviva, indietro di cinquecento anni.

Il club delle prefiche batte la lingua a grancassa per glorificare la chiusura di un luogo pubblico, e per fortuna il loro Muoiasansone resta nei social per terminare lì.

In pochi hanno capito che solo un concetto di fine un po’ shivaica è moralmente e civilmente accettabile: ben venga la fine se segnerà un nuovo inizio.

E a questo si può aggiungere ancora molto. Chiudere per riaprire con un nuovo intento, con la volontà di fare cultura e non solo di vendere bigliettini. Chiudere un luogo inadeguato per renderlo adeguato sì, ma in ogni senso. Ma siamo già finiti nella mera utopia. In passato, con un festival, qualcuno di buona volontà ha tentato di riunire le realtà teatrali locali, creare un evento nel Comunale. Ovviamente, l’anno seguente il progetto era già stato deformato, perdendo quanto di buono era stato stabilito, con piena soddisfazione delle suddette prefiche, tutte a tuonare contro la “provincialità” delle scelte. Ahimè, dimostrando così, per esempio, di aver mancato molta letteratura, molta critica letteraria e teatrale.

Ed ecco l’ultimo punto. Stiamo tornando al passato inesorabilmente? Allora dal passato raccogliamo quanto di buono abbiamo oggi perduto. Le corporazioni, la coesione dei professionisti. Perchè anche in provincia l’unione fa la forza. Guardiamo più lontano. Se l’Italia chiude i teatri (non solo da noi, ripeto: dalla Sicilia alla Lombardia è un’ecatombe) i teatranti non restino chiusi! Se i musei vengono ostacolati (penuria di fondi, orari impraticabili) gli artisti saltino oltre! La peggiore tra le reazioni possibili è l’immobilità, anche a fronte di chi dice che Latina è l’ultima palude culturale: no, non se chi la abita sa camminare senza impacci. Allora l’aspetto della nostra città che vogliamo spingere avanti non è il suo passato melmoso, ma la sua natura di città nuova, giovane, la cui storia è pronta ad essere scritta.

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Giselda Palombi  è regista e autrice. E’ Presidente della Compagnia Teatrale Grosso Gatto di Latina.

Info www.grossogatto.it

 

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