Latina dei primi anni Cinquanta: ” Giallo nella Palude redenta– “Agnelli, lupi e figli delle tenebre”di Antonio Scarsella
di Cora Craus –
Il romanzo “Giallo nella Palude redenta – “Agnelli, lupi e figli delle tenebre” nella Latina dei primi anni Cinquanta” di Antonio Scarsella, (ed. Atlantide – pag – 270 – € 15) è un viaggio tra misteriosi omicidi, disperati suicidi ed enigma politici e sociali in terra pontina, indagini nella palude del Duce dalla sua bonifica ai primi anni Cinquanta, come viene ben specificato nel sottotitolo. Antonio Scarsella unisce ad uno stile di scrittura chiara, precisa e ricca di sfumature la capacità dell’indagine amministrativa, la perizia di leggere la “storia”, la politica, la bramosia del potere, l’animo umano dietro i libri contabili.
Il giallo annunciato nel titolo si srotola avvolgente, pieno di suspense eppure si ha l’impressione che sia un “pretesto”, brillante ed intelligente, per raccontare “altro”. “Con l’assegnazione delle terre bonificate a migliaia di famiglie provenienti da altri territori, invece che alle popolazioni autoctone, Il regime aveva portato a compimento un ragionamento doppiamente sottile e politico, demografico e sociale”.
L’umanità dell’investigatore, il maresciallo Duilo Spadon, si muove tra sospese e paludose atmosfere, tra la miseria di criminali “per caso” e l’oppressione violenta, subdola del potere senza né ideali né valori pronta a cambiare casacca ad ogni fruscio di foglia.
“Maresciallo! Maresciallo!! Presto venga al telefono, c’è un signore che parla in dialetto veneto. Mi pare che dica che c’è stato un morto ma non lo capisco…” è l’incipit del romanzo, l’entrata in scena di Duilio Spadon, il giovane maresciallo, “polentone” ma colto, sensibile, etico, con un inopportuno e doloroso “flusso di coscienza”, creato da Antonio Scarsella. Spadon è alle prese con un susseguirsi di omicidi-suicidi ciascuno di essi dà il via ad un indagine psicologica, sociale e antropologica della realtà della palude pontina negli anni Cinquanta. Dove prendendo a prestito le parole di Jane Austen potremmo scrivere che la gente “guardava senza vedere, ammirava senza capire, ascoltava senza sapere”.
L’autore descrive il marcio di un mondo, di un sistema le cui radici affondano, certo, nell’era fascista ma che hanno, mostruosamente, continuato a svilupparsi ben oltre il “ventennio nero”. Quante volte abbiamo sentito, oppure, letto sui vari social: Latina non è una città, una comunità inclusiva, benché la sua storia, la fusione di “genti” a cui si devono le fondamenta della città del Duce, dovrebbe raccontare, permeare, far vivere l’esatto contrario. Una possibile e credibile risposta-ipotesi la troviamo nelle pagine del romanzo di Antonio Scarsella: “All’ideologia socialista e comunitaria, il Regime aveva risposto, d’accordo con i suoi primi alleati, con un’altra ideologia: quella dell’individualismo e della negazione, della diversità di classe, di ceto sociale. [.] Rompere la tendenza dell’uomo a socializzare, isolarlo, legarlo al “suo” pezzo di terra o meglio all’aspirazione al suo pezzo di terra, per poterlo controllare socialmente e politicamente. [.] Dall’altra parte, invece, c’era l’uomo che abitava sulle colline: proprietario solo delle sue braccia, della sua forza lavoro. Nella stragrande parte dei casi coltivava terreno non suo. La sera tornava a casa, in paese, e si sentiva parte di una comunità. Tra sé e il potere c’era il cuscinetto della comunità o della classe sociale a cui si sentiva di appartenere, e la socialità, il mettere in comune i problemi…”