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Femminicidi a Latina: Rossella Angelico, la studentessa della IV D.

 

di Cora Craus –

Rossella Angelico, era una studentessa della IV D dell’Istituto Magistrale “Alessandro Manzoni” di Latina. Una ragazza, una diciassettenne, studiosa, sportiva, impegnata: era delegata, quale rappresentante di classe, del movimento studentesco. I volantini di una manifestazione cui aveva partecipato lo stesso giorno della morte, furono ritrovati vicino al suo motorino sul luogo dove fu uccisa: località Cicerchia.

La feroce uccisione avvenne per mano del “fidanzatino” e altri due amici di lui. Non troverete, in queste righe, il nome dell’assassino né quello dei suoi complici, non sappiamo se hanno finito oppure no di scontare la loro pena; ma c’è una legge giusta nel nostro ordinamento: il diritto all’oblio che recita: “a non restare esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione”. È dura da accettare ma è la differenza tra giustizia e istinto di vendetta.

Il perché di una così giovane vita spezzata, in quella sera del 9 novembre 1985, è tra i più abbietti, bestiali e tristi: il “fidanzatino” aveva invitato Rossella ad uscire: è sabato sera, tutti i giovani di Latina si riversano per le strade, per l’abituale “giro di peppe”, per un cinema, una paninoteca. Rossella, si lasciò convincere dal suo ragazzo ad una passeggiata appena fuori dall’abitato, nell’aspettative della giovane studentessa: una romantica passeggiata tra innamorati. Ma, un crudele ed infame inganno era stato già architettato, infatti, lui si fece raggiungere da due suoi amici e ordinò a Rossella di far sesso con tutti e tre; al ben deciso rifiuto della ragazza la massacrarono di botte uccidendola, la spogliarono dalla vita in giù, gli rubarono i soldi dal borsellino e l’abbandonarono là, come un rifiuto, un inutile ingombro. Risuonano le parole della scrittrice Michela Murgia: “La causa scatenante del femminicidio è nel rapporto di potere tra i sessi: le donne morte non possono più dire “no”.” Parole per tutte le Rosselle, per tutte le donne vittime di femminicidio.

Il caso Angelico, come è facile immaginare, suscitò l’attenzione della stampa nazionale scriveva su “la Repubblica” Silvana Mazzocchi: “Il colpo mortale l’ha colpita alla parete anteriore del cranio, mentre sul torace i segni del bastone hanno lasciato solchi scuri, larghi un palmo. La mano destra è fratturata, probabilmente usata per ripararsi il volto dalla furia dell’assalitore”.

Sono un’emblematica analisi socio-letterario del femminicidio le parole di Michela Murgia, rilasciate in una intervista a Paolo Curreli a margine di una presentazione del libro scritto, a quattro mani con Loredana Lipperini, “L’ho uccisa perché l’amavo”. Falso!” (ed. Idòla|Laterza – pag. xv-80 – € 9).

Parole che vale la pena rileggere: “Abbiamo un immaginario patriarcale che anche dal punto di vista artistico è stato totalmente costruito sul ruolo dominante del maschio predatore e sulla donna sottomessa e vittimizzata. In questa concezione la donna va protetta oppure predata, perché appartiene a qualcuno oppure perché non appartiene ancora a nessuno; l’idea che una donna sia persona e quindi appartenga solo a sé è un concetto che ancora fatica ad affermarsi dopo decenni di letteratura, musica e pittura che ci hanno detto il contrario. Nel nostro immaginario il ratto di Proserpina è molto più presente della Giuditta di Artemisia”.

Spesso le donne sono vittime due volte prima del femminicidio e poi della narrazione, del linguaggio sia nei tribunali sia nei mass-media; non c’è differenza di lessico né nelle “due colonne in cronaca”, né nello scoop in prima pagina. Come rivendica l’associazione “Giulia- Giornaliste”, dobbiamo imparare a parlare del femminicidio, dobbiamo trovare “Le parole per dirlo”.

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista