ED In cucina

Elogio (alternativo) della Sacher

di Marina Bassano –

 

Premessa doverosa: non sono né una cuoca provetta né una che ama stare ore a cucinare. In realtà neanche minuti nella vita di tutti i giorni. Sto ai fornelli il meno possibile, a dire la verità. Però mi piacciono i dolci e mi piace farli e imparare a farne di diversi. È l’unica cosa per cui ho pazienza in cucina. Anzi, sento ogni tanto proprio la necessità di creare, di sperimentare e di esprimermi tramite un dolce. Perché in fondo credo che la cucina sia una modalità di espressione, come tante altre. Che poi questa necessità d’espressione non si palesi più di tre-massimo quattro volte in un anno, è un altro discorso.

Se siete delle assidue e veneranti proselite della Cucina, se la seguite alla stregua di una “religione” e se avete tutti i vostri arnesi, spatole, pennelli, stampi e stampini di ogni forma e dimensione sempre lucidati, e se la vostra libreria è invasa da ricettari, dagli antipasti al dolce, non andate avanti nella lettura, potrebbero esserci vari elementi dissacranti che urterebbero la vostra fede in Benedetta Parodi.

Per occasioni che lo richiedono, come compleanni di persone a cui voglio (molto) bene o cene importanti, e se sono ispirata, dedico una giornata (perché diciamoci la verità, i tempi indicati nelle ricette sono sempre al netto di ingredienti mancanti dell’ultimo minuto, teglie mancanti, errori di preparazione vari, o semplicemente tempi diversi dovuti alla poca praticità) alla preparazione della creatura, sentendomi un po’ come il dottor Frankenstein che dà vita al mostro.
Dolce preferito di mia madre, la Sacher è stata l’oggetto dell’ultima sperimentazione, non esattamente delle più semplici.

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È bene anche sapere cosa c’è dietro l’idea di abbinare i sapori base del dolce, da dove nasce la loro simbiosi, così scopro che come spesso accade, l’invenzione è frutto della coincidenza della momentanea assenza per malattia del pasticcere di corte nella Restaurazione austriaca del 1832; presso la corte di Klemens Von Metternich infatti, fu l’apprendista pasticcere Franz Sacher che improvvisò un dolce speciale su richiesta del Principe, per un pranzo ufficiale con molti ospiti importanti. Un’origine nobile dunque per una torta dagli ingredienti in realtà molto poveri.

Ingredienti:
• 250g cioccolato fondente
• 175g burro
• 180g farina 00
• 260g zucchero semolato
• 20g miele
• 6 uova
• 1 pizzico di sale
• 350g marmellata di albicocche

Per la glassa:
• 300g cioccolato fondente
• 250ml panna fresca liquida
• 50g miele

Strumenti necessari:
• Pennello
• Spatola
• Carta da forno
• Termometro da cucina
• Tortiera diametro 24 cm
• Pentola grande abbastanza da poterne contenere un’altra dentro
• Fruste elettriche e manuali
• Sac a poche
• Stuzzicadenti per misurare la cottura

Già la prima operazione, semplicissima secondo i tutorial e i ricettari, ha rappresentato una difficoltà che ha richiesto un’ingegnosa soluzione: sciogliere il cioccolato a bagnomaria. Beh, che ci vuole? Basta avere una pentola grande abbastanza da contenerne un’altra al suo interno che però non tocchi i bordi inferiori e laterali della prima. Ovvio. Io per esempio a casa non ne ho due così, tutte con manici troppo grandi per entrare dentro un’altra pentola. Con uno sprizzo di ingegnosità mi invento un pentolino scalda latte dentro un’altra pentola, che però essendo pesante ovviamente tocca tutti i bordi possibili. L’arte di arrangiarsi è di casa, perciò tengo il pentolino sollevato con una leva-mestolo in modo da farla galleggiare.

Sciolto finalmente il cioccolato (stranamente senza dover neanche buttare il pentolino dopo per il cioccolato residuo attaccato) e molto compiaciuta di me stessa, passo al resto dell’impasto: separare albumi dai tuorli, pesare 110 g di zucchero e il miele e metterli in una ciotola per impastare, secondo i tutorial con una macchina fighissima che fa tutto lei, secondo me con le care vecchie fruste che schizzano su tutta la cucina.

Quindi prima si lavorano lo zucchero, il miele e il burro a temperatura ambiente (che io puntualmente avevo dimenticato di lasciare fuori dal frigo) e poi si uniscono i tuorli delle uova e il cioccolato che avevamo sciolto, che intanto si è raffreddato fino ad arrivare alla temperatura di 32 gradi (misurata attentamente con il termometro rosa da cucina appositamente comprato per l’occasione! E anche qui, soddisfazione a palate per come mi ero premunita dell’attrezzatura adeguata!) e si lavora con le fruste fino ad amalgamare il tutto.

A parte, montate gli albumi con un pizzico di sale e, raggiunta una “spumosità” buona, aggiungete i restanti 150g di zucchero e continuate a lavorarli fino a quando non saranno abbastanza cremosi. Fin qui tutto bene o quasi.

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A questo punto si unisce il composto con gli albumi con l’altro composto e si mescola con una frusta a mano, non con quella elettrica (non chiedete perché ma così è scritto, io eseguo pedissequamente).
Si unisce la farina setacciata (ammetto il crimine, non l’ho setacciata, come non ho setacciato la marmellata per il ripieno… nonostante questo la torta non è implosa) e si continua a mescolare.

Poi si prende la tortiera di diametro 24 cm (ovviamente la mia non era di 24 ma leggermente più grande) si ricopre con la carta da forno, ci si versa l’impasto e si inforna nel forno già caldo a 180 gradi per 60 minuti. Ora, il forno a gas senza luce interna non è esattamente il massimo per cucinare dolci, considerando che la temperatura continua a salire e devi continuamente abbassare e alzare la fiamma, ma tutto sommato il fattore forno può volgere a nostro favore, dato che possiamo addossare la responsabilità di un eventuale fallimento proprio a lui! Passato il tempo di cottura, in assenza di stuzzicadenti per verificare l’interno della torta si può tranquillamente osare (come modestamente ho fatto) un foro più grande, tanto ci andrà la glassa sopra!

Fatta raffreddare la creatura, bisogna tagliarla. Altra operazione chirurgica per cui per fortuna è entrato in soccorso il coltello elettrico di nonna (attrezzo alquanto infernale) che ha risolto sbriciolamenti eventuali. La torta secondo i tutorial andrebbe tagliata due volte, così da ottenere 3 strati, ma l’altezza della mia creatura non lo permetteva, perciò vi assicuro che un taglio solo va più che bene. Si spalma la marmellata sul disco tagliato e si farcisce e dopo si spennella la marmellata su tutta la superficie esterna della torta.

Passata un’altra ora per lasciar asciugare la marmellata, si pensa alla glassa. Questo metodo di farla è molto semplice, al contrario di altri che avevo provato in precedenza: si fa scaldare la panna fresca con il miele e appena sta per bollire si spegne il fuoco e si unisce al cioccolato fondente sminuzzato. Si continua a mescolare fin quando non si è sciolto completamente. Ancora una volta il termometro appena comprato si rivela fondamentale per verificare che la temperatura sia 32 gradi. A questo punto possiamo ricoprire la creatura. I tutorial parlavano di glucosio per la glassa al posto del miele. Ho girato 5 supermercati ma di glucosio neanche l’ombra, sembra sia una cosa impossibile da trovare, ma non vale la pena scervellarsi per andare alla ricerca, il miele va benissimo!

Una volta ricoperta la torta interamente, anche sui bordi, con un po’ di glassa lasciata da parte e messa nella sac a poche, è il momento della famosa scritta! Ma poi perché ci si deve scrivere Sacher sopra? Si sa che è una Sacher! Come Sean Penn che nei panni magnifici di Cheyenne in “This must be the place” dice alla compagna: “perché hai permesso che l’architetto scrivesse cuisine sopra la cucina? È stupido, lo so che quella è la cucina!”
Comunque ho cercato di fare un cuoricino al posto della scritta, ma con scarsi risultati, perché dopo un po’ è irrimediabilmente colato, ed essendo dello stesso colore della glassa si confondeva. Forse bisognava far asciugare e raffreddare la glassa sulla torta e solo in un secondo momento aggiungere la scritta.

Alla fine, dopo la rocambolesca preparazione, devo dire che la creatura ha avuto il successo che speravo (è finita tutta la sera della cena), anche con qualche bozzetto sulla superficie, dovuto alla biscottatura del forno (vedete che può essere utile il capro espiatorio del forno?) anche senza scritta e anche con uno strato di marmellata invece che due. E poi, sinceramente parlando, cucinando in una cucina che è grande forse quanto un’anta del frigorifero delle cucine dei tanti luminari dei fornelli che si vedono in tv e sul web, sono fin troppo pratica! E se è vero che la cucina è espressione, i miei dolci mi rispecchiano: sono una persona che bada pochissimo alle chiacchiere e all’apparenza e molto alla sostanza. E la sostanza della mia creatura-sacher era decisamente ottima, nella sua imperfezione esteriore.

Dopo questa sublime espressione culinaria, penso passeranno almeno svariati mesi prima che si ripresenti la necessità di impiastricciare dolciumi. Forse la prossima volta racconterò del giorno in cui ho deciso di fare i cinnamon rolls (rotolo alla cannella) con il lievito scaduto, ovviamente accorgendomene dopo le 6 ore di preparazione…

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Marina Bassano

Marina Bassano

Redattrice