ED editoriale

“Un mondo di carta” di Luigi Pirandello

Di Cora Craus –

 “Un mondo di carta” è una novella di Luigi Pirandello e così a leggerla di primo acchito sembrerebbe un manifesto contro la lettura o una spietata satira sugli innamorati del libro. Come interpretare diversamente la terribile e un po’ schifata descrizione che, il premio Nobel per la letteratura, fa del protagonista: Valeriano Balicci, talmente rapito dalla lettura da non conoscere, non vedere, altro mondo se non quello descritto nei suoi infiniti libri?

Il paradosso del personaggio è che pur preferendo, tra i tanti generi di lettura, la narrativa di viaggio appare una figura immobile, immobile perfino, si intuisce, nell’attraversare le fasi della vita. È mai stato davvero un vivace bambino, un curioso adolescente, un appassionato uomo prima di essere un vecchio cieco? Non vi è traccia di niente, di nessuna emozione nel prof. Balicci se non lo statico risuonare del suo mondo di carta “E come quegli animali che per difesa naturale prendono colore e qualità dai luoghi, dalle piante in cui vivono, così a poco a poco era divenuto quasi di carta: nella faccia, nelle mani, nel colore della barba e dei capelli”.

Il focus del racconto è la cecità del protagonista, che pur lungamente annunciata dai medici, arriva per lui improvvisa, in una situazione quasi da sceneggiata napoletana, provocandogli più scherno che pietà. La curiosità vera, “la domanda che sorge spontanea” – direbbe Antonio Lubrano – è di quale cecità parla Pirandello? Quella fisica, devastante, invalidante ma pur sempre solo un difetto fisico che mai riesce a limitare la mente, come hanno dimostrato grandi artisti e non ultimo lo scrittore Andrea Camilleri suo conterraneo? O, parla della cecità mentale del protagonista, della sua incapacità di librarsi oltre la limitatezza della pagina scritta?

L’immagine, la sensazione, che mi ha rimandato questo personaggio è quella di una persona paurosa, conformista nell’animo, incapace di vivere e che il suo mondo di carta lontano dall’essere la sua Camelot sia in realtà la sua Sing -Sing. Questo appare chiarissimo in contrapposizione con l’altro personaggio della novella, Tilde Pagliocchini, una ragazza esperta in lettura ad alta voce. Tanto immobile lui tanto frenetica ed esagitata lei “…tutta fremente in una perpetua irrequietezza di perplessità. Aveva svolazzato per mezzo mondo, senza requie, e anche per il modo di parlare dava l’immagine d’una calandrella smarrita, che spiccasse di qua, di là il volo, indecisa, e s’arrestasse d’un subito, con furioso sbàttito d’ali…”.

L’incontro tra queste opposti temperamenti saranno l’una di mutuo soccorso all’altro? La smarrita calandrella porterà vitalità in quel immoto mondo o l’opprimente forza di quel mondo di carta le bloccherà le ali?

Possiamo creare l’ipotesi che il grande agrigentino, in uno dei mille momenti di depressione, abbia visto la proiezione di sé stesso riflessa nell’immaginario Valeriano Balicci? D’altronde, molti anni dopo, in una intervista Pirandello confessa: “Voi desiderate da me una nota biografica e io mi trovo assai imbarazzato a fornirvela per la semplice ragione che ho dimenticato di vivere, l’ho dimenticato al punto da non saper dire niente della mia vita! Potrei forse dirvi che non la vivo la vita io, io la vita la scrivo!”

La trama. Il professor Valeriano Balicci litiga per strada con un ragazzino che ritiene responsabile di averlo fatto inciampare nelle sue statuette; in realtà, però, il lettore capisce che Balicci ha gravi problemi di vista, e che è inciampato nelle statuette perché non le ha viste. Da qui parte “l’intrusione” nella vita e nel mondo di carta di Valeriano Balicci

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista