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Modena. Alla Galleria Ranarossa 3.0 di Ersilia Sarrecchia la nuova mostra: “Corrispondenze – Omaggio a Mario Venturelli”

A cura di Cora Craus –

La seconda mostra della nuova stagione espositiva della ranarossa 3.0 vede protagoniste le opere di Mario Venturelli e Alessandro Monti in una bipersonale atipica e suggestiva. La mostra verrà inaugurata sabato 8 ottobre alle ore 18 in via Montevecchio 21, Modena. Per gentile concessione il testo della presentazione del critico Michele Fuoco.

“Tesse un dialogo tra un maestro modenese del Novecento (Mario Venturelli, Modena 1925 – 1999) e un artista del nostro tempo (Alessandro Monti, Modena 1950) la mostra alla galleria Ranarossa 3.0. Una bipersonale che si pone come prima tappa di un processo di riflessione che la galleria, diretta da Ersilia Sarrecchia, intende determinare, con i prossimi eventi, anche tra artisti di generazioni diverse, dopo un’attività espositiva rivolta soprattutto al lavoro individuale o collettivo di pittori, scultori e fotografi. Il proposito è quello di leggere le opere di ogni artista, di meditarle nella loro specificità ma anche nel quadro di rapporti tra loro, di collegamenti illuminanti, di corrispondenze incantatorie ed evocative, di cogliere il respiro connettivo e il diverso modo di sentire e comunicare. Sanguigna, passionale, impetuosa, ma anche genuina, sincera e generosa è la pittura di Venturelli, in cui lievita un realismo quotidiano, antico e sempre attuale, che sembra rinnovarsi nel tempo, facendo di ogni cosa un incontro sorprendente, con attenzione all’uomo e alla natura.  Quella natura che circonda la sua casa di campagna a Villa Freto, Tre Olmi, dove l’artista ha lavorato, rinnovando ogni giorno con essa un rapporto da anima a anima. Nella sua opera tutto è nato dall’esperienza quotidiana, come quella sconcertante vissuta, nella primavera del 1944, quando Venturelli, non ancora ventenne, si rifugiava a Correggio nel convitto, improvvisato a clinica psichiatrica per ospitare alcune donne, malate mentali, sfollate dal manicomio di Reggio Emilia. 

Venturelli e le figure d’angoscia

E quelle figure femminili diventano immagini d’angoscia, come la donna con occhi sbarrati, una collana di amuleti e oggetti banali. Una creatura inquietante, assurda a cui si aggiungono le prostitute, con la loro amarezza di fondo, di perdizione, pur nel tentativo di farsi belle, sedute ad un tavolo all’aperto, in continua attesa… Venturelli ha saputo esplorare, anche negli ubriachi, un mondo assurdo, di solitudine, di annientamento che incombe su vite precarie.  In queste opere, come in quelle raffiguranti spettri, cimiteri di notte, le immagini sono pervase da un’atmosfera di destino implacabile, di fatalità. La pittura è dominata dall’angoscia del vuoto e dall’orrore della dissoluzione. Non c’è dimensione consolatoria. Nell’uomo vive la coscienza dolorosa di queste lacerazioni a cui il segno e il colore conferiscono il senso di una triste esistenza. Ad alta temperatura drammatica si presenta lo Studio per una Crocifissione, dove il viso di Gesù è segnato dall’esperienza del dolore, ma anche dalla fortissima concentrazione di resistere alla violenza. L’artista offre un linguaggio partecipante che direttamente si vivifica nell’urgenza di cogliere il tragico accadimento con una figura, mai di rassegnazione, che acquista vigorose, intense dissonanze, costituendo uno dei modi più affascinanti dell’espressività contemporanea.  Il suo racconto è sempre denso di sentimenti anche delle cose, con un tessuto pittorico che si va qualificando, con maggiore consistenza, di dati reali e di spessori emotivi, quando l’artista porta sulla tela elementi di natura (fiori, arbusti, frutti…) che prendono corpo in un impasto di colore e di materia, talvolta anche di variabili stratificazioni, di concreta esistenza, di carnalità di forza plastica, quasi a registrare il sentimento di appartenenza che Venturelli avvertiva nei loro confronti, non solo se si trovava in campagna. 

Passione affettiva

Non c’è contemplazione ma passione affettiva, tradotta con una pulsante rappresentazione che diventa “nuova figurazione” in composizioni che dispiegano un rapporto non meno intenso di umori, quando l’artista mette insieme pere, foglie e, in secondo piano, oggetti del suo atelier; un capello, uno scialle su un tavolino; cappelli, un giornale stropicciato, pezzetti di carta e una scatolina di bicarbonato. Una diversa tavolozza nella modulazione della luce si registra in un paesaggio, con risalto ai volumi generati con una gestualità controllata.  E spazio della luce l’artista verifica nelle “Finestre” per la ricerca di nuovi orizzonti, imbastendo una sottile relazione tra l’interno di una stanza e l’esterno avvertito, nel sintetico colore, come amorevole ricognizione immaginativa.  Di torrenziale vitalità narrativa è la sua cifra stilistica che non lo rende isolato, in quanto Venturelli ha arricchito di esperienze significative il suo modo di fare e vivere l’arte, non ai margini della storia creativa. All’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove si iscrive nel 1945 e più tardi insegnerà pittura, Mario trova come maestri Virgilio Guidi e Giorgio Morandi. Gli interessi per la figura tormentata, avvilita, uscita dagli orrori della guerra portano l’allora giovane pittore ad avvertire certe affinità con esperienze di artisti internazionali: con i corpi allungati di Modigliani, l’atroce verismo di Soutine, i “Vageri” di Lorenzo Viani, i tragici capolavori di Van Gogh, il mondo visionario e sinistro dell’espressionismo tedesco e fiammingo, da Nolde a Kirchner, da Ensor a Kokoschka. Senza dimenticare la mostra, nel 1948, con Trevisi e Spattini alla Saletta degli Amici dell’Arte, che gli permette di incontrare artisti come Carrà, Carena, Sironi, De Chirico, Guttuso, Mafai chiamati a Modena per proporre il loro lavoro nello stesso ambiente del Caffè Nazionale. La partecipazione a mostre collettive a Roma presso il Fante di Spada, e la personale alla Mutina di Modena (le due gallerie dirette da Mario Roncaglia) gli permettono incontri e relazioni con altri artisti famosi, amicizie con Vespignani, Ferroni e Guerreschi, che approderanno alla Mutina  che pure presentava l’arte degenerata di Grosz, Otto Dix, Hans e Lea Grunding… sfuggita  alla pazzia di Hitler  che bruciava le opere sulle piazze. Venturelli stabilisce un legame affettivo con questa arte, come pure con quella che a Modena giunge dall’Inghilterra con le opere di Bacon, Graham Sutherland, dagli Stati Uniti con Petlin e Mc Garrel, , dalla Francia con Aillaud e Arrojo. Da citare anche la mostra alla Sfera di Modena, diretta da Mario Cadalora che indaga  soprattutto sul lavoro di talentuosi artisti modenesi.  Sono momenti di “contaminazioni”, di legami che esaltano e nutrono quella predisposizione umana e creativa che Venturelli mette in luce già durante gli studi all’Istituto Venturi di Modena, dove i suoi professori sono Arcangelo Salvarani e Renzo Ghiozzi che, nel 1943, lo porta a Roma dove conosce Mafai.

 Monti: energia creativa

Si alimenta di una individuale energia creativa la pittura di Alessandro Monti che, dagli anni ’70, è impegnato in una rinnovata ricerca artistica che, sia come pittore che come scultore,  propone in mostre personali e collettive. La sua opera si sostanzia di colori acrilici e di oggetti che, in un gioco di intelligente montaggio, costituiscono gli ingredienti di un racconto, anche di piacere ludico. Sorvegliata è la costruzione in Catena alimentare, raffigurata in tre distinte figure a colori dal gufo, dalla lucertola e da insetti (materici, posti su un piccolo ripiano legato alla cornice) in una scena completata da un paesaggio scarno, fatto di un albero senza foglie e una casetta. Abilità narrativa anche in Quella me la becco io, con la presenza di una scimmia che punta ad una banana (concreta), a costo di attraversare una foresta multicolore. Sono Predestinati quei pesci a morire in un mare inquinato o a finire in scatoletta ASdoMar di tonno. Briosa e garbatamente ironica è la scena del Viaggio premio di una cinciallegra in Africa che non ama certamente il caldo. Noto per essere goloso ed esploratore, l’uccellino viene posto sul ramo di un albero. dove pare osservare il paesaggio. Una tazzina è il “souvenir” di questo viaggio.  La rappresentazione è sempre affettuosa e l’arguzia narrativa è affidata a colorite situazioni che l’artista costruisce con abilità, con gusto talvolta sapido. Scene anche grottesche, persino esilaranti, che possono compiacere immediatamente l’osservatore.  Ma la vivace, arguta felicità del narrare non esclude una riflessione, di ragionevole misura realistica, sull’inquinamento, sul predominio, in natura, del più forte, sulla necessita della sopravvivenza, sullo scorrere del tempo, sulla tecnologia che si esalta e condiziona il nostro operato, su molti aspetti segreti dell’esistere. L’analisi delle opere porta a verificare e a riconoscere la ricchezza e le infinite possibilità espressive determinate dall’energia cromatica in dialogo con materiali di uso quotidiano. Insieme, colori e oggetti sono capaci di dar vita, liberamente inventandosi di dettagli,  a riflessioni, a storie che fanno parte dell’eterna commedia umana. Da considerare che nell’artista non c’è risentimento, derisione che offenda l’intelligenza, la cultura e il buon gusto, in quanto il montaggio è condotto con gioiosa briosità su cui si fonda il “divertissement”. Per il linguaggio ricco e vario le opere, sostenute da una ineffabile fantasia, sorprendono per il ritmo inventivo, senza cedimenti, per l’originalità, e permangono attuali. Alessandro, sin da ragazzino, ha sempre guardato con ammirazione all’opera di Mario. Sguardi in presa diretta sui dipinti del maestro anche mentre lavorava nel suo studio, in quanto tra le loro famiglie si era stabilita una affettuosa, fraterna amicizia, coltivata nel tempo. Impossibile per Monti non assorbire la lezione, certi modi di fare pittura di Venturelli.  Certo, tra i due non mancano differenze di linguaggio e di stile. Ma collegamenti, non solo ideali, possono essere individuati nella matericità dell’opera, nel recupero della profondità di storie e di memorie degli oggetti, delle cose semplici, nella testimonianza della loro presenza all’interno dei “racconti”, nella riscoperta del mondo semplice degli affetti, nella comune sensibilità di percepire l’immagine, nel fondere le esigenze dell’arte nella vita”. 

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista