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Tra le paludi dell’inferno, Pio VI il Papa bonificatore

di Marina Cozzo

Cominciate col fare il necessario, poi ciò che e’ possibile e all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile. San Francesco

Anno Domini 1775, il conclave eleggeva Santo Padre Angelo Onofrio Melchiorre Natale Giovanni Antonio Braschi, nato il 25 dicembre 1917 a Cesena. Saranno i gesuiti a iniziarlo alla preghiera e alla vita religiosa con quello scrupolo e attenzione per le cose e gli uomini propri dell’ordine sacerdotale.

Durante il suo mandato papale, Pio VI, ebbe modo di conoscere molto bene il territorio pontino visitandone anche le terribili paludi, per toccare con mano la realtà e i drammi quotidiani degli abitanti.

In verità, quando la Chiesa consolidò il suo possesso sull’Agro, furono numerosi i pontefici che si dedicarono a tentativi di liberare così tanto territorio dalle acque: Bonifacio VIII nel 1294, Martino V dal 1417, Alessandro VII, Innocenzo XI, Clemente XI, durante i primi del XVIII secolo. Taluni di loro riuscirono a far realizzare opere sul territorio, mentre altri si limitarono a far preparare studi da esperti di alto livello, anche da ingegneri idraulici stranieri.

Nella bonifica s’impegnarono anche i Caetani e ancora il papa Sisto V, che dette il nome all’omonimo fiume., ma il pontefice che ha lasciato nella storia della bonifica ampia traccia di sé fu in assoluto Pio VI Braschi, che fece esaminare tutti gli scritti e i progetti degli autori antichi e moderni, sulle paludi e su i tentativi di prosciugarle, traendone indispensabili insegnamenti.

Rivolgendosi al cardinale Boncompagni, dell’Azienda delle acque della provincia di Bologna, si fece mandare il migliore degli idraulici: Gaetano Rappini, che, giunto a Roma, visitò le paludi per accertare le cause delle inondazioni, per studiarne i mezzi per il risanamento e calcolarne la spesa.

Pio VI prevedeva che l’impresa sarebbe stata oggetto di controversie che l’avrebbero fatta arenare, così pensò di nominare quale commissario legale l’avvocato Giulio Sperandini, cui erano state attribuite facoltà altissime compresa quella di procedere anche contro ecclesiastici.

A Sperandini vennero affiancati, il notaio Gaspare Torriani, il geometra Angelo Sani ed il perito Benedetto Talani, che misero su una mastodontica opera per lavori e costi, impegnando per molti anni oltre tremila operai.

La bonifica di Pio VI iniziò nell’autunno del 1777 con il recupero di transito sulla via Appia e quindi realizzando le migliare, un sistema di strade e canali ortogonali all’Appia.

In seguito si procedette con la messa a dimora di pini e di pioppi in serie per ombreggiare e consolidare le banchine del rettifilo e si cominciò a ripopolare la zona.

Oltre alla riscoperta e alla riattivazione dell’abbandonata Appia, intransitabile dall’VIII secolo, a Papa Angelo Braschi è legato anche il canale che fiancheggia la fettuccia, cui venne dato il nome di Linea Pio.

Tuttavia, Pio VI non fece bene i conti: i Comuni e i privati che, traevano laute fonti di guadagno dalle peschiere costruite sui canali, erano un impedimento del regolare deflusso delle acque che provocava allagamenti nei campi.
Così, il grande progetto e sogno del papa bonificatore sfumò.

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Marina Cozzo

Marina Cozzo

Giornalista