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“Simo próvéle e ómbra, e squizzo de luce – nella lingua degli avi” Una raccolta poetica di Pietro Vitelli

di Cora Craus –

 Una raccolta di componimenti in dialetto corese cioè la lingua di un piccolo e probabilmente uno tra i più antichi insediamenti latino/ romano nell’area pontina; gli argomenti in “Simo próvéle e ómbra, e squizzo de luce –  nella lingua degli avi” (Ed. Atlantide – pag.174 – € 15) di Pietro Vitelli variano dal piccolo, dal vicinissimo: ricordi della sua infanzia, dei genitori, degli amici, e delle persone che hanno popolato la sua Cori e “abitato” la sua vita fino ad una dimensione mondiale senza spazio e senza tempo fatta di luoghi, incontri, storia, letteratura.

Tutte le composizioni hanno la traduzione in italiano a margine, il libro, inoltre, è arricchito dalla prefazione di Rino Caputo già Preside dell’Università di Roma Tor Vergata. E dalla riflessione sulla poesia dialettale di Leone D’Ambrosio, scrittore, poeta pontino tra i più apprezzati e premiati.

L’autore, in questa raccolta, ci rimanda un mondo vivo, pulsante una vera antologia di emozioni, sentimenti e, a noi, sembra che su tutto aleggi una luce: la gratitudine verso il prossimo, gli avvenimenti, anche quelli dolorosi, verso la vita. Un valore aggiunto alla poesia che di per sé, nella sua “mission”, aiuta ad esplorare nelle profondità del proprio cuore, del proprio animo e cercare quel segno, quella peculiarità unica di cui ciascuno essere umano dispone così da offrirla e condividerla in quell’ immenso database chiamato Anima Mundi.

Le composizioni racchiudono limpidi, sereni e orgogliosi ricordi pensiamo alla forza e alla delicatezza dei versi dedicati alla madre: “Era bèlla maroma, bbèlla bbèlla/ Na Greta Garbo de jo paése méne,/ Rgogliuso d’èsse stato figlio séne:/ Ntiliggènte, lucente cómme stélla/”

Così come in “Cosmogonia” “Jo témpo, chiglio ffa èsse/ jo munno cómm’è,/ Ntè lo prima/ È manco lo dóppo./ Tè sulo lo mó./ E nnó nfinito mó/”  ritroviamo una riflessione, una realtà che accumuna tutti gli essere viventi c’è una frase di cui non ricordiamo l’autore che ci sembra la perfetta sintesi di questi versi: “È il tempo a segnarci la vita e siamo noi a segnare il tempo”.

 Con sorprendente naturalezza, che solo a posteriori se ne riconosce il valore e l’abilità, l’autore spazia e immerge il lettore in un’aria internazionale e apre una finestra sulla vastità dello scibile umano dove il dialetto della piccola cittadina lepina, cui il poeta ha dedicato tre dizionari, diventa un raffinato escamotage letterario per giungere dalle radici delle espressioni locali al cromatismo dell’universalità della vita attraverso i linguaggi della poesia.

 L’ autore partendo dalla poesia greca attraversa, con grande attenzione, quella Latina, l’italiana e la grande poesia “straniera”? Ma può la poesia definirsi straniera? Pietro vitelli, sempre nel dialetto corese che come lui stesso scrive: “succhiato dal latte materno”, ci parla di autori, di autrici quali William Shakespeare, Puškin, Hikmet, Wislawa Szymborska, Emily Dickinson di cui vi riporto dei versi: “No sepalo, no petalo e nna spina/Na normale mmatina d’istate, /No fiasco de vazza, na lapa o dóa,/Na ventata liggera,/  – No sfruscio mméso’a j’arbiri -/ E je so nna rosa”

Tradurre questi autori dalla loro lingua originale all’italiano e traghettandoli alla lingua corese come dice l’autore “in un originale giochi di specchi” si trasforma in un operazione che davvero unisce la poesia in un unico, universale arabesco togliendogli qualunque caratteristica elitaria, esclusivista permettendo di respirare, al dotto e a l’incolto, all’unisono con essa. Siamo fermamente convinte che le traduzioni, almeno finché il mondo non parlerà un unico esperanto, apportano linfa vitale, aprono autostrade per rendere comprensibile a tutti, noi, opere, pensieri che rischieremmo di non conoscere o non comprendere mai.

 Per noi al suono di traduttrice/re si accompagna sempre il nome di Fernanda Pivano che per aver tradotto “Addio alle armi” di Hemingway, lettura proibita dal fascismo, nel 1943 fu arrestata, in Italia, dalle SS tedesche. Un’altra donna, altre lotte, altre traduzioni nella vita di una poetessa russa nata ad Odessa, oggi, suolo ucraino, Anna Achmatova: “Jé stógno écchi lontana da tutto/ Da ‘gni bbè sta ntèra./ Spirdo che custodisce “sto loco”.

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Cora Craus

Cora Craus

Giornalista