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La scienza che non riusciamo a vedere.

di Emanuela Federici –

 

Spesso ci troviamo di fronte ad una notizia scientifica e la domanda ci sorge spontanea: “Ma che c’entrerà mai con la mia vita di tutti i giorni?”. E la risposta è quasi sempre “niente”, eppure la cosa ci riguarda sempre, anche se indirettamente. Ignoriamo puntualmente i decenni di ricerca che stanno alla base di una scoperta scientifica, dando un po’ per scontato il risultato, quasi come se piovesse dal cielo. Questo sarà dovuto senz’altro ad una nostra mancanza di partecipazione alla res scientia, ma è pur vero che di norma sia i politici che gli scienziati stessi si guardano bene dall’esprimersi e dal divulgare notizie dettagliate al riguardo.

In un articolo pubblicato la scorsa settimana su L’Espresso, Elena Cattaneo, Scienziata dell’Università di Milano, insignita di vari riconoscimenti nel campo della ricerca, ha affermato che la scienza spesso viene vissuta “come poco accessibile e poco vicina al sentire dei cittadini. Per un verso gli scienziati dovrebbero fare di più per spiegare non tanto i risultati, ma la fatica, il coraggio, i fallimenti e raccontare come le conquiste scientifiche sono di tutti e per tutti”. Un approccio più aperto, quindi, che coinvolga noi poveri comuni mortali nelle imprese titaniche che si nascondono dietro una coltre di risultati. Per darci modo di comprenderne la fatica e la costanza con cui è stato portato a termine un lavoro.

Un concetto complesso e di difficile attuazione, soprattutto se pensiamo a come viene affrontato dal nostro Stato e dai nostri politici. Una realtà in cui riecheggia l’ignoranza di chi segue fideisticamente un pensiero prevalente, senza porsi domande su ciò che riguarda l’esigenza e la volontà del “popolo”.

“Il tema sotteso alla domanda – afferma Elena Cattaneo – è quanto il personale politico del Paese sia in grado di rappresentare il sentire e il volere dei cittadini in generale. Restando alla scienza, sulla base dei dati a cui si riferisce, si può osservare come, forse, i cittadini che si confrontano quotidianamente con le difficoltà e la speranza della vita abbiano sempre di più il polso di quanto un’innovazione scientifica possa incidere sul loro benessere e sulla libertà più di quanto i loro politici riescano a immaginare che siano in grado di fare. Politici che, inoltre, rispondono spesso a logiche di appartenenza che – paradossalmente – potrebbero allontanarli dal sentire comune e dal comprenderlo e guidarlo in modo più razionale, basato sulla conoscenza dei fatti”.

E se è vero che tra i politici c’è chi è preso dall’interesse e dalla voglia di documentarsi prima di esprimere un giudizio, c’è anche chi si basa sul classico “sentito dire” e respinge a priori qualunque proposta innovativa. “Ci sono un bel po’ di esempi: non hanno alcuna idea di cosa sia in concreto la sperimentazione animale, ma chiedono che sia abolita; non hanno idea di come si arrivi a identificare un trattamento per una malattia umana e ti dicono che puoi arrivarci comunque con un computer o un piattino di cellule. Magari sono anche gli stessi che non capiscono la differenza tra i ciarlatani e la medicina. Ci sono persino parlamentari che, ribaltando la realtà delle cose, cercano di far passare lo scienziato come ‘persona con pregiudizi’, ad esempio semplicemente perché si avvale delle prove della scienza per argomentare a sostegno dell’innocuità di specifici Ogm. Alcuni politici, sempre restando a questo esempio, li definiscono ‘pericolosi per la salute umana’ e poi accettano che vengano importati a tonnellate per nutrire le nostre filiere alimentari. Sono posizioni incoerenti oltre che non documentate”. Starebbe a noi quindi il compito di informarci e pretendere di guidare le scelte dei politici. Come fare? Tentando di partecipare di più alla politica, alla gestione delle nostre città perché alla base delle nostre vite. Un tema molto sentito ultimamente, come dimostrato da vari convegni che quest’anno hanno arricchito la nostra provincia di incontri e confronti positivi e costruttivi.

E di certo, nel difficile rapporto tra ricerca e informazione, un ruolo fondamentale è ricoperto dai media, che spesso prediligono un atteggiamento di indifferenza di fronte ad una scoperta che porterebbe pochi ascolti. Una propensione per “La Notizia”, quella che determina cambiamenti sensazionali e mutamenti nell’ordine generale delle cose. Ai piccoli passi, alle piccole conquiste, viene data una bella pacca sulle spalle e rimandata al mittente, come se fosse fallata. E questo ci porta ad ignorare il reale svolgimento dei fatti. A non capire quanto un risultato possa essere importante e a non apprezzare e non apprendere il metodo scientifico.

“Se ne parla poco sui media. Pochissimo in TV. Si predilige una comunicazione fatta di ‘narrazioni umorali’ anche quando si trattano temi che obbligherebbero ad ancorarsi ai fatti, a ciò che è stato verificato. Quindi, se è ovvio che la scienza non possa che dire come stanno le cose, anche quando è doloroso, i ciarlatani, al contrario, promettono miracoli (che ogni volta si dissolvono nel nulla). Questo rende la scienza debole, a prima vista, agli occhi di un pubblico che ha una dieta mediatica composta essenzialmente di grandi miracoli o grandi catastrofi”.

Questa condizione non fa che aumentare il divario con gli altri Paesi e sminuire le nostre eccellenze, che sono tantissime nell’ambito scientifico. Bisognerebbe ritrovare quell’orgoglio per la nostra patria, quell’interesse per il sapere che abbiamo lasciato chissà dove lungo il nostro cammino. Perché, anche se ci sembra un risultato poco incisivo sulle nostre problematiche quotidiane (fare la spesa, togliere la macchia di ruggine sulla maglia, eliminare la cellulite definitivamente), la capacità dei nanoaghi di trasportare una maggiore quantità di acidi nucleici rispetto alle strutture solide ci potrebbe aiutare un giorno nella ricostruzione dei tessuti danneggiati e nell’evitare il rigetto degli organi trapiantati! Mica bruscolini! 

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Emanuela Federici

Emanuela Federici

Redattrice -