“D’Annunzio Jazz” con la straordinaria Elisabetta Femiano

A cura di Cora Craus –
Domenica, 9 novembre alle ore 18 presso il teatro Comunale Gabriele D’Annunzio di Latina sarà presentato, con la regia di Danilo Proia, il lavoro “D’Annunzio Jazz”, ispirato all’opera “La figlia di Iorio” del Vate.
Sul palco, oltre allo stesso regista interprete di Aligi, lo affiancheranno Elisabetta Femiano nel ruolo di Mila, Emanuele Vezzoli nel ruolo del padre, dalla chitarra di Simone Salvatori, il sax di Laura Venditti e la voce di Maria Chiara Sorbo nel ruolo di Vienda.
Lo spettacolo è realizzato dall’ Associazione Culturale Multimedia Artisti Associati dall’ Associazione Culturale Compagnia il Gruppo dell’Arte e dallo sponsor FC INDUSTRIE Femiano & Rossetto che con il suo contributo ha accolto e sostenuto il progetto artistico.
“La regia di Danilo Proia – si legge in una nota – vuol condurre il pubblico, da subito, in una sorta di iniziazione di sapore misterico, in un viaggio avvolto nelle nebbie dell’onirico, rivelatore di enigmi e conoscenze.
Lo spettacolo è una rivisitazione del capolavoro di Gabriele D’Annunzio, che segnò, nei primi del ‘900, un cambiamento impattante nella scena teatrale italiana. D’Annunzio, il poeta, il drammaturgo, lo sperimentatore per eccellenza, l’artefice sublime di un linguaggio che, proprio con “La figlia di Iorio”, trova il suo massimo equilibrio tra la liricità della poesia e l’intensità drammatica della scena. Tanti gli interpreti che, da quel felice debutto milanese del 1904, si sono confrontati con il ruolo di Aligi e di Mila: da Ruggero Ruggeri ed Eleonora Duse, sostituita poi da Irma Gramatica, a Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer, affiancati da Salvo Randone nel ruolo di Lazaro di Roio. Con questa potente storia di amore, turbamento e sacrificio, il vate Gabriele D’Annunzio realizza quel suo intento tanto anelato di realizzare un teatro “rituale e mitico”, in un perfetto equilibrio tra passato e presente”.
Note di regia del “D’Annunzio Jazz”:
“Al termine di una festa pre-matrimoniale Aligi rimane solo con la sua promessa sposa Vienda. Tra balli e musica, i due amoreggiano divertiti. Vienda, felice, canta il suo amore. Tutto sembra volgere al meglio quando improvvisamente entra in casa una donna. È Mila di Codra, figlia di Iorio, che afferma di essere inseguita da uomini che vogliono violentarla. Alle ripetute richieste di Mila nessuno risponde e Aligi, incitato dalle voci di diffidenza, odio e paura, si lascia convincere di colpirla a morte. Mentre è in procinto di sferrare il colpo, un angelo muto e piangente gli appare in tutto il suo splendore. La visione ferma l’intento omicida di Aligi permettendo a Mila di salvarsi.
Fuggiti, Aligi e Mila si ritrovano a vivere insieme. Uniti da una passione autentica aligi spera di recarsi a Roma per ottenere la dispensa papale e sposarsi con Mila. Ma i sogni di aligi volgono verso un tragico epilogo quando entra in scena suo padre Lazaro di Roio. La mano del figlio contro la mano del padre.
Sarà proprio Mila, “colei che fa nocimento a chiunque”; a salvare Aligi dall’imminente condanna a morte, accusando se stessa e celebrando, nella battuta finale, la fiamma purificatrice. Gli esemplari archetipici della trerra dannunziana quali la Madre, il Padre, il Figlio, la Sposa, la Superstizione, il Rito, rappresentati dalla genuinità animica del pastore Aligi, vengono confutati e messi in discussione dalla figura di Mila: la sortiera, la svergognata, la portatrice di un pensiero nuovo.
Lo spettacolo è tratto dalla tragedia pastorale “La figlia di Iorio”. Il raffinato arcaismo del linguaggio dannunziano riporta alla luce parole, locuzioni che rischiano di scomparire del tutto e con esse i concetti di cui sono espressione. In questa sconvolgente storia si ritrovano le intime ragioni di un teatro rituale che ha precisi riferimenti nella tragedia di Eschilo e in quella di Sofocle”