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Infibulazione, il diritto negato di essere donna

di Emanuela Federici –

150 milioni di vittime. 150 milioni di donne costrette a convivere con una violenza disarmante. Un crimine che oggi si perpetra in 28 Paesi africani, nello Yemen e in altre realtà come il Kurdistan iracheno, l’Indonesia, l’Arabia Saudita e la Malesia. Nella sua XII edizione, la giornata mondiale indetta dall’Onu contro le Mutilazioni Genitali Femminili (6 febbraio) rende note queste stime che straziano e colpiscono la dignità con un colpo netto.

Una pratica feroce e insensata che viene praticata su bambine dai 4 ai 14 anni e in alcuni Paesi anche durante i primi giorni o il primo anno di vita. Per mantenere intatta l’illibatezza della donna. Per evitare che provi piacere durante il rapporto sessuale. Perché una donna non infibulata viene considerata impura e allontanata dalla società.

Una barbarie che è clandestinamente attuata anche nel nostro Paese (500mila in Ue e 39 mila in Italia), nonostante la messa al bando universale approvata dall’Onu nel 2012. “Le Mutilazioni Genitali Femminili (Mgf) interviene Emma Bonino, fondatrice di ‘Non c’è pace senza giustizia’ (l’associazione internazionale fondata nel ’93 per la protezione dei diritti umani, anche con un programma specifico sulle Mgf) “sono anzitutto una questione di diritto, di legalità, ma sono anche sintomo di quanto, in molte società, la donna sia ancora considerata come un cittadino di serie B”. È necessaria quindi una strategia diversificata “in grado di incidere sul contesto sociale perché queste pratiche tradizionali vengano finalmente considerate obsolete e nocive e perché le donne possano finalmente vedersi riconosciuto un ruolo all’interno della comunità che non sia limitato all’ambito familiare in una posizione di subordinazione rispetto all’uomo”, sostiene la Bonino. “Serve un impegno maggiore, per fare in modo che le leggi esistenti vengano applicate, che il dispositivo della Risoluzione Onu venga implementato, che il contesto sociale dei Paesi interessati maturi sotto il profilo del rispetto dei diritti umani e per impedire che la pratica venga eseguita in Europa nella clandestinità, come spesso ancora accade”.

E accade sempre più spesso nel nostro Paese. Una tortura, oltre che un crimine, che danneggia per sempre la salute fisica e psicologica della donna. Le Mgf prevedono il taglio, la cucitura o la rimozione di parte o di tutti gli organi genitali femminili esterni. Oltre al dolore, nonostante l’anestesia locale, e al forte shock, gli effetti sono devastanti. Emorragie, infezioni, shock settico, ritenzione urinaria e in alcuni casi morte. Una condizione disumana a cui una ragazza si vede relegata fino al momento del matrimonio, quando il marito stesso sarà incaricato alla defibulazione. I rapporti sessuali diventano dolorosi e difficoltosi e varie problematiche insorgono anche al momento del parto, quando il bambino deve attraversare una massa di tessuto cicatriziale. Come se non bastasse, le puerpere, le vedove e le donne divorziate sono costrette ad una reinfibulazione per ripristinare la condizione di purezza prematrimoniale. Una dimostrazione di inciviltà e di arretratezza culturale che distrugge i diritti di un essere umano e nega alla donna i benefici di un corpo sano.

Nella lotta a questo fenomeno, importante è il messaggio lanciato dal Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, al convegno promosso presso il ministero dall’Istituto Mediterraneo di Ematologia “Non possiamo accettare che ci siano nei nostri territori pratiche barbariche contro le donne come le mutilazioni genitali femminili. Questo è sancito dalla legge, ma è necessario entrare in questi mondi e convincere le persone. L’Italia svolge un ruolo importante, anche promuovendo azioni culturali nei paesi in cui la pratica tradizionale delle Mgf ha ripreso ad essere presente, e fortunatamente negli ultimi anni si è visto anche da parte degli uomini una contrarietà rispetto a tale tradizione”.

C’è bisogno allora di prevenzione e informazione. Due elementi importanti  per l’arresto di questa realtà che necessita di risorse economiche e di iniziative valide. “Dal 2012 la legge sulla prevenzione e sul divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile non viene rifinanziata. Eppure il fenomeno sta diventando sempre più italiano ed europeo. Per contrastarlo ci vogliono fondi”. Questo è l’appello rivolto alle istituzioni italiane dal Gruppo parlamentare ‘Salute globale e diritti delle donne’ e dall’associazione Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo). “La legge contro le mutilazioni genitali femminili” ha spiegato la coordinatrice del gruppo parlamentare, Pia Locatelli “prevede uno stanziamento di 5 milioni di euro l’anno per attività di prevenzione e formazione nel nostro paese. Anche se pochi, questi fondi sono indispensabili per lo studio del fenomeno”.

Essenziali per promuovere la prevenzione, la protezione, le azioni penali e un’adeguata offerta dei servizi contro tale pratica. Per accerchiare ed eliminare una crudeltà ancora troppo diffusa. Per salvaguardare 3 milioni di bambine che ogni anno rischiano di perdere il loro diritto di essere donne.

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Emanuela Federici

Redattrice -